bandura, la Palestina in Libano

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BANDURA: la Palestina in Libano


A cura di Monica Macchi


Monica Macchi, studentessa di arabo ha fatto un viaggio di conoscenza tra la realtà dei campi profughi palestinesi in Libano. Da questo viaggio nasce la mostra ospitata all’associazione La Scheggia. Una parte delle foto è dedicata alle strategie di sopravvivenza dei palestinesi in Libano e un’altra parte al complesso contesto sociale e politico in cui il popolo palestinese è costretto a vivere.

- Li kull al marad daua'
(per ogni malattia c'è una medicina) -

Spesso la malattia si chiama “legge libanese” che prevede una serie di restrizioni ai danni dei profughi e l'estensione massima di un chilometro quadrato: allora si cerca l'altezza, si creano allacci che ricamano il cielo (e anche le stanze della casa!), si continua anno dopo anno a festeggiare la festa del sacrificio sgozzando agnelli e a sostenere con dignità il diritto al ritorno. A volte la medicina è anche solo una borsetta colorata a cui aggrapparsi correndo tra le macerie di Nahr al bared o una carbonella su cui officiare il rito del the da offrire all'ospite straniero. Altre volte la strategia di resistenza è collettiva: l'intero campo di Beddawi, sconvolto dall'emergenza abitativa a cui il governo libanese risponde con container, i cui prototipi invadono i pochi spazi collettivi, s'inventa giochi dal sapore di un antico immutato. E in un Libano disseminato di foto di martiri (inteso nel senso etimologico di “testimone”) che simboleggiano mille sfaccettature stratificate che sfuggono alle rigide categorie del politico (davanti alla sede del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, d'ispirazione marxista, i bimbi giocano all'hagg, il pellegrinaggio alla Mecca uno dei cinque pilastri dell'Islam; il cartellone che rievoca l'operazione di martirio del 1983 di un palestinese del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina è stato collocato dagli Hezbollah; nelle strade di Tiro ci sono cartelloni che ricordano l'imam Mussa al-Sadr dirigente di Amal misteriosamente “scomparso” nel 1978 sotto cartelloni che ricordano esponenti degli Hezbollah) nel campo di Mar Elias ci si aggrappa al valore della bellezza come unico valore consolatorio inventando storie d'amore tra le linee squadrate delle grate e le forme tondeggianti della cupole della moschea e intagliando un sorriso su una sedia di plastica. Mi amminiscono però: “Non fotografare solo il sorriso che siamo in un campo profughi non in una telenovela egiziana!”. E mentre rido incredula della loro ironia mi cade l'occhio su un cartello che fa bella mostra di sé sulla porta del negozio a fianco: errore glottologico, sottile metafora politica o semplicemente... ironia?

inaugurazione sabato 5 aprile h.18,00